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Storia del mais

Il mais, o granoturco, è un cereale di origine americana introdotto in Europa a seguito della scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo. Arrivato in Italia intorno al 1500 ha iniziato ad essere coltivato nella pianura padana, nel veneto, per poi espandersi lentamente in tutta la penisola. La sua diffusione è stata garantita dalle alte rese, superiori a quelle di altri cereali quali miglio e panico e dalla capacità di fornire un nutrimento abbondante e di facile preparazione: la polenta.

Le prime testimonianze certe della sua presenza in Bergamasca risalgono al seicento, quando viene coltivato a Lovere (1638) e a Gandino (1632). Da qui il mais raggiunge anche l’altipiano di Rovetta dove si stabilisce e prospera. Proprio in questa zona viene selezionata la varietà Rostrato Rosso di Rovetta dalla peculiare colorazione e dalla forma spinata del chicco.

Soltanto a inizio duemila però la sua presenza viene notata da un agronomo, Aureliano Brandolini, il quale la scopre casualmente durante la tradizionale sagra della patata di Rovetta. Nel comune la sua coltivazione è stata tramandata da generazioni dalla famiglia Marinoni, sino al signor Giovanni, il quale ne ha portato avanti la riproduzione, preservandola dall’estinzione. Da allora nasce il progetto di valorizzazione di questo piccolo tesoro locale:

Scheda descrittiva

Il mais “Rostrato Rosso di Rovetta” è una particolare varietà di mais (Zea mays), pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Graminaceae o Poaeceae (la stessa di cui fanno parte tutti gli altri principali cereali coltivati dall’uomo: frumento, riso, orzo, avena, segale, miglio, ecc.) originaria del centro America.

Come dice il nome è caratterizzato da una colorazione rosso scura delle cariossidi, ossia i “chicchi”, e dalla presenza di un’escrescenza spinosa (il rostro) sulla loro estremità. Le piante sono piuttosto alte raggiungendo anche i 2,5 m, hanno spighe di circa 20 cm e tutolo (ossia la parte interna della spiga sulla quale sono posizionate le cariossidi) di colore rosato. La consistenza del chicco è semi-vitrea, il contenuto in amidi è piuttosto elevato con una ridotta presenza di grassi.

La farina ottenuta risulta ottima per la preparazione di polenta e altre pietanze. La produzione è più bassa rispetto ai moderni ibridi, attestandosi sui 4-5 t/ha di granella, ma le piante risultano più robuste. La colorazione rossa è data da un’elevata presenza di polifenoli, sostanze antiossidanti molto importanti per il nostro metabolismo.

La sua coltivazione avviene principalmente nei Comuni di Rovetta e Songavazzo, ma il disciplinare di coltivazione ne permette la semina anche nei Comuni limitrofi: Fino del Monte, Onore, Cerete, Clusone e Castione della Presolana. In quest’area la sua coltivazione è attualmente limitata dall’altitudine, ma il surriscaldamento climatico spinge sempre più a nord il suo areale potenziale.

Il terreno impiegato per la coltivazione viene lavorato in primavera, quando vengono interrati letame o liquame animale tramite l’aratura. Un successivo passaggio con un erpice permette di rompere le zolle di terreno e livellarlo. La semina avviene tra fine aprile e i primi di maggio lungo file distanti circa 70×28 cm ad una profondità di 4-5 cm. Nei mesi successivi le piante crescono senza alcun tipo di irrigazione e subiscono diverse sarchiature tra le file, al fine di eliminare le erbe infestanti. La pianta fiorisce a luglio emettendo prima il tipico pennacchio nella parte sommitale, formato da fiori maschili, seguito, nel giro di qualche giorno, dall’emissione delle barbe dalla spiga femminile, la quale si sviluppa lungo il fusto. Nonostante venga comunemente definita pannocchia, questa parte della pianta è infatti più correttamente una spiga, a differenza dell’infiorescenza maschile, la quale è, a tutti gli effetti, una pannocchia. Il polline emesso in questa fase si disperde grazie all’azione del vento, fecondando l’infiorescenza femminile, che comincia a sviluppare i vari chicchi. Questa fase, la quale culminerà con la maturazione degli stessi e il disseccamento della pianta, è particolarmente delicata poiché qualsiasi stress (malattie, siccità, vento forte, grandine, eccesso di pioggia, ecc.) potrebbe andare ad influire negativamente sul raccolto.

Ad ottobre, quando i giorni si sono accorciati di molto e le piante risultano ormai secche, si procede con la raccolta prevalentemente manuale. Le spighe sono staccate dal culmo per poi essere vagliate sotto l’occhio vigile dei contadini i quali scartano qualsiasi parte ammuffita o danneggiata. Il periodo esatto del raccolto è individuato tramite la misura dell’umidità di alcuni campioni di cariossidi che deve essere attorno al 20%. L’ultimo passaggio consiste nell’apertura delle spighe tramite la rimozione delle brattee (le foglie coriacee che proteggono i semi) e nell’essiccazione delle stesse tramite l’azione dell’aria. Questa fase viene tradizionalmente compiuta creando mazzi di 20-30 spighe legate tra loro tramite dei legacci in materiali naturali per poi essere appesi sui vecchi loggiati in legno delle case contadine. 

La morfologia del territorio, diviso in parte “bassa” e parte “alta”, permette la separazione fisica delle coltivazioni del mais “Rostrato Rosso di Rovetta”. Nel piano, comunemente detto “Agro”, viene coltivata la parte destinata soltanto al consumo, la quale non risente dell’ibridazione dovuta alla presenza di altre varietà di mais utilizzate come foraggio animale. I campi impiegati per la produzione del seme per l’anno seguente sono invece situati nella parte alta dei paesi, dove risultano maggiormente isolati e protetti da eventuali contaminazioni. Data l’importanza di conservare il patrimonio genetico della varietà, l’Associazione ha chiesto  anche ai coltivatori amatoriali di non crescere nei propri orti altre tipologie di mais, fornendo in cambio della collaborazione un piccolo quantitativo di semente di Rostrato.